martedì 12 giugno 2012

Per non dimenticare- ultimo capitolo


Torna a casa una sera mentre imperversa un temporale estivo …

La rivedo come fosse ora.. fradicia, coi capelli gocciolanti che ricadono appena sulle spalle, ancora più ondulati, sulla testa un enorme coppino pieno di filati, rocchetti di filo di tutti i generi e colori, che aveva raccolto lungo un ampio raggio di terreno. Erano della Ditta Cantoni Cucirini ubicata nel piano di Lucca che i Tedeschi avevano devastato e tutto il materiale si era sparso  intorno, un po’ dappertutto.
Le era sempre piaciuto ricamare e cucire e sicuramente avrebbe fatto cosa gradita donandone un po’ anche ad altre come lei.

Era così difficile procurarsi quel “bendiddio” in tempo di guerra e, lasciarlo per terra inutilizzato, le era sembrato un peccato.
E’ passato da poco quel venerdì che lei aveva proposto a mio padre come riferimento chiaro e irrevocabile nel suo ultimatum, che già pensa di organizzare una seconda partenza.

Decide di partire in bicicletta, questa volta, e si rivolge al capo del Comando, sempre stanziato accanto alla casa dei nonni, per avere un aiuto e un supporto che le possa dare più tranquillità nell’affrontare di nuovo quel viaggio lungo e così incerto.

Lui la aiutò davvero, firmandole personalmente una specie di lasciapassare, indispensabile per il posto di blocco di Serravalle.

Concordarono un piano perfetto, secondo il quale lei, all’occorrenza, avrebbe dichiarato di essere molto malata e di dover andare da un medico per  accertamenti urgenti.

Poi, per rendere tutto  verosimile  da sembrare  credibile, si pensò bene di aggiungere qualche particolare  e accorgimento in più alla commedia.

Doveva però adempiere ad una promessa importante prima di ripartire, quella di far visita alle famiglie dei prigionieri che aveva incontrato, seppur velocemente, e di cui aveva i nominativi e gli indirizzi scritti su un appunto.

Non poteva far loro torto e in confronto ai chilometri che aveva percorso, non ci voleva niente a raggiungere paesi vicini, come Cascina, San Giovanni alla Vena e portare ai familiari di questi uomini un biglietto coi loro saluti e una parola di conforto.
Cosi fece e non fu inutile perché trovò altre due giovani donne disposte ad unirsi a lei in questa seconda avventura .
Partirono in tre in bicicletta e il tempo trascorse meglio nel sostenersi a vicenda , accomunate dallo stesso obiettivo.

Arrivate a Sammommè, più o meno nelle vicinanze dello stesso luogo della volta precedente, ecco giungere verso di lei la stessa Lilia che, con la madre,  stava tornando a casa dal lavoro prestato al Comando.
La giovane donna le va incontro in preda all’agitazione supplicandola di nascondersi in fretta perché lui era fuggito  davvero questa volta e, se l’avessero vista, l’avrebbero presa come  ostaggio.

Tra la gioia della notizia e il pericolo che incombeva ad ogni soffio di vento, non sa come reagire sul momento ma sente il cuore diventare sempre più leggero e benedice quelle due donne,  ringraziando il cielo per averle messe sulla sua strada ancora una volta.

Si nasconde e aspetta l’imbrunire per allontanarsi con prudenza e per riprendere la strada del ritorno

Le altre due donne partite con lei, restano.

Non ragiona molto mentre ritorna sui suoi passi, le sfuggono tempi e modi .. lo immagina già a casa al sicuro... e ci crede così tanto che questa volta il viaggio le sembra infinito .
Non poteva essere così.. primo,  perché lei era in bicicletta e lui a piedi.. poi, perché mio
padre doveva muoversi con molta cautela e guardarsi alle spalle di continuo, insieme agli altri che erano fuggiti con lui.

Ed è questo che, una volta arrivata a casa, tutti cercano  di farle capire, ma inutilmente…e io la vedo sempre più sfiduciata e chiusa nel suo dolore, anche se  mantiene viva la speranza  e non si lascia prendere  mai dallo sconforto.

Tutti, comunque ,con gli occhi e col cuore, attimo dopo attimo , viviamo solo per attendere  quel momento.




Io me ne stavo di solito sul muricciolo del ponte  a ore ad aspettare ma ogni volta me ne tornavo a casa delusa, non immaginando minimamente che un giorno non lontano, i tedeschi lo avrebbero minato insieme a tanti altri, sconvolgendo  l’armonia di quell’insieme e provocando anche un disagio notevole per il nostri spostamenti..

Intanto, tra  infinite  peripezie e pericoli scampati, mio padre era finalmente arrivato nei pressi delle Cascine, a pochi chilometri da Buti  e per strada era stato raggiunto da una donna che, vedendolo e riconoscendolo a stento, lo aveva informato che la mamma era  partita in bicicletta per raggiungerlo .

Il trauma a quella notizia fu così tremendo che, come ci racconterà poi,  cadde a terra,stremato, non reggendosi più sulle gambe e come in un rantolo cominciò a ripetere che non era servito a niente.. che non era giusto.. lei a quell’ora era di certo stata presa dai tedeschi come ostaggio…

Continuava a disperarsi e a chiedersi mille perchè, poi, raccolte le poche forze rimaste, pensò di arrivare a casa  comunque, anche solo per abbracciarmi.. darsi una lavata alla meglio e ripartire immediatamente per riconsegnarsi prima possibile, se non ci fosse stato un modo per liberare la mamma.

E così,rimuginando tra sé, passo dopo passo, era sempre più vicino.

Me ne stavo anche in quel momento  sul muricciolo  del ponte, vedetta attenta e vigile come sempre e , come per magia…lo vedo sbucare dalla curva .

Non reggo all’emozione e mi precipito per andargli incontro , felice, perché le mie preghiere erano state ascoltate e le mie sensazioni non mi avevano tradita.

Mentre mi avvicino non vedo più l’uomo che ricordavo ... era così irriconoscibile per la magrezza e camminava a stento.

Nonostante tutto questo, percepii lo stesso una felicità indescrivibile che non era solo per la gioia di riabbracciarmi… C’era come una specie di rilassatezza , di sicurezza nel suo sguardo come chi respira profondo dopo una bella notizia e mio padre dopo la brutta notizia , ne aveva avuta un’altra meravigliosa quando nei pressi del cimitero, aveva incontrato quella stessa donna, Ginevra, che si era adoprata per fargli avere il vestito  per il travestimento. .
Poche le parole in quel breve incontro ma che lo rincuorarono e lo fecero sentire davvero libero da tutti gli incubi vissuti fino ad allora: mia madre era a casa sana e salva, con tutti noi e... mancava solo lui !

La mia corsa era finita e in un baleno gli fui vicina, nonostante mi  implorasse di non toccarlo

“ Non ti posso abbracciare pezzetto mio.. sono pieno di pidocchi, te li attacco !”

E fu proprio così... E  fu complicatissimo toglierli dai miei riccioli.

Nei giorni che seguirono, furono tutti impegnati a cercar di risolvere questo inconveniente e ci volle pazienza e molto tempo anche per ricostruire quanto era stato distrutto dai tedeschi e due braccia in più  risultarono  molto utili, perché il babbo ora c’era…e si respirava un’aria nuova.
Era così bello per me averli tutti intorno ad occuparsi dei miei boccoli , che mi sembra di essere ancora con loro… là  in quella casa sul  rio, che avrà sempre un posto speciale nel mio cuore”.

Annarosa a tre anni

Ecco finito il racconto di Annarosa. Senza questo intervento deciso di Flora, cosa ne sarebbe stato di Marino? Non è dato sapere....ma è facile pensare che probabilmente non sarebbe più tornato. E allora...Donatella non avrebbe mai visto la luce.
Quindi noi, suoi amici, siamo ben contenti che sua madre sia stat tanto coraggiosa.

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