lunedì 19 agosto 2013

Il maggiociondolo

Domenica 23 giugno: è una bella giornata di sole, non troppo calda e invitante per una passeggiata con la macchina scoperta. Andiamo su, alla Roncola, una montagna alle spalle della città, e raggiungiamo il Pertùs, il punto più alto, da dove si gode di una vista splendida sulla vallata del lago di Lecco e dei laghi brianzoli. Si sta bene; nell'aria c'è un buon profumo, che viene da centinaia di alberelli carichi di grappoli dorati. Sembrano glicini gialli.....non li avevo mai notati prima, forse perchè non ero mai arrivata qui nel momento della fioritura.













 Laburnum anagyroides, volgarmente maggiociondolo, noto anche come falso ebano, in quanto possiede le stesse caratteristiche.

I frutti sono legumi dai numerosi semi neri contenenti citisina (un alcaloide), estremamente velenosi (per l'uomo, ma anche per capre e cavalli) specie se immaturi.
Alcuni animali selvatici tuttavia (come lepri, conigli e cervi) se ne possono cibare senza problemi, e per questo in alcune regioni è ritenuta una pianta magica.
Il legno è duro e pesante, di colore giallo/bruno, ottimo per pali, lavori al tornio e come combustibile. In passato - ma anche oggi nelle rievocazioni storiche - era utilizzato come ottimo legno per la costruzione degli archi. Viene utilizzato anche in liuteria, per la fabbricazione di strumenti a fiato.







Il maggiociondolo, utilizzato per fare le spine delle botti e i pali della vigna, è diventato, assieme al rovere, con i secoli, un intenditore di vini; ma, a differenza degli uomini, l’alcol non riesce a distruggerlo. (…)
Il tronco del “Maggio” non è mai diritto né grosso ma si piega e vive di stenti, contento del poco di cui dispone.
Da lui il vecchio ricavava le “cavezze” per le capre e le mucche. Per chi non lo sa le “cavezze” sono cerchi in legno, oggi sostituiti dal cuoio.
Ho imparato che, se volevo fare una cosa ad uso “tenero”, non la potevo costruire con il maggiociondolo, buono per le cose resistenti, come i denti dei rastrelli, che dovevano durare un’eternità e grattare sui prati quel poco fieno di montagna, ispido e ricco di essenze benefiche.
Nella concretezza risiede la nobiltà del maggiociondolo. E’ come l’amico fedele che rimane nell’ombra ma è pronto a intervenire in caso di bisogno. Di lui ti puoi fidare. Disponibile al sacrificio, è un legno speciale anche per la stufa, e produce un fuoco gagliardo, di un bianco incandescente che riscalda l’anima prima ancora del corpo.
E’ generoso, e quando stai scivolando non si comporta come la muga traditrice, ma ti sostiene e ti incoraggia. Non ha bisogno di affetti né li vuole. Non dipende da nessuno e affronta la vita schivo e riservato. Non disprezza l’amore ma neppure lo cerca. (…)
Confesso che voglio bene al maggiociondolo e mi sono affezionato, anche perché è un albero che sa invecchiare senza il patetico bisogno dei cosmetici antirughe. E’ sciocco cercare di mascherare il cammino degli anni. L’incedere del tempo cambia il colore alla pelle del maggiociondolo e la abbrutisce, ma lui non se ne rammarica.
Appena tagliato, all’interno è verde chiaro con stupende venature gialle. Quando lo levighi ostenta un verde cupo con intense fiammature dorate. Poi, dopo due o tre anni, passa al marron scuro, quasi nero, della vecchiaia.
Al termine della vita, il maggiociondolo, senza urlare, ma in dignitoso silenzio, come l’ulivo, entra nel buio della terra e scompare.

(Brano tratto dal libro “Le voci del bosco” di Mauro Corona – Edizioni Biblioteche dell’Immagine di Santarossa)







 Questa descrizione della pianta fatta da Mauro Corona, mi ha fatto venire alla mente l'animo dei bergamaschi, che non potrebbe essere meglio raccontato!






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