mercoledì 7 giugno 2017

La macchina da scrivere

Era il 1967. L'estate stava per cominciare e già se ne avvertivano i primi segnali. Sui letti le trapunte pesanti avevano lasciato il posto ai colorati cretonnes , le giornate si erano "allungate" e da un punto indefinito del giardino arrivava il frinire di qualche cicala.
Si', era proprio estate, ma non per me, costretta nella mia camera per ore a battere sui tasti di una portatile Olivetti Lettera 24 (o era una 22?) la mia tesi di laurea.
Ne servivano 4 copie, perciò bisognava inserire con cura tra le pagine  bianche i fogli sottili della carta carbone e naturalmente pestare pesantemente sui tasti  e io, che di dattilografia non sapevo niente ,mi consumavo ogni giorno i polpastrelli  di indici e medi.... 
E poi ci voleva grande concentrazione per evitare gli errori di battitura ; non c'erano allora correttori efficaci e , considerando che il testo della tesi era in inglese, la tensione era alle stelle.
Ma a vent'anni si può sopravvivere a questo e ad altro. Prima che l'estate finisse, le quattro copie  rilegate in similpelle verde ,con  il mio nome e il titolo a caratteri d'oro, erano pronte per accompagnarmi al passo finale.








Questa mattina, appena sveglia ,senza un motivo particolare,  forse per la luce che entrava nella stanza, una luce d'estate, mi sono tornati in mente quei giorni così lontani ormai, quella stanza da ragazza, con la scrivania color verde chiaro  e libreria annessa, costruita da mio padre appassionato di bricolage. Accanto ai libri c'era una piccola radio di bachelite rosa, che aveva una pessima ricezione ma mi teneva compagnia mentre studiavo. E più tardi era arrivata quella Olivetti, comprata apposta per me per l'occasione.
Mi chiedo. se la mia storia personale appare lunga ai miei occhi, quanto più lunga può essere la storia di una macchina da scrivere ?!? Scopriamolo insieme spulciando qua e là in rete con l'aiuto di qualche bella immagine  vintage...




La macchina per scrivere , o da scrivere, nata sul finire del XIX secolo, è stata uno dei primi dispositivi di largo utilizzo per la redazione rapida di documenti in formati standardizzati. Dal suo utilizzo nacque una nuova professione riservata all'inizio prevalentemente alle donne: la dattilografia.

Sono diversi gli inventori a cui viene attribuita la macchina da scrivere, spesso di diversa nazionalità. Può anche essere che varie persone abbiano lavorato contemporaneamente allo sviluppo di idee simili, senza conoscersi o incontrarsi.
In Italia si ha notizia di una macchina da scrivere funzionante nei primi anni del XIX secolo.

A Favizzano nel 1802 infatti, il conte Agostino Fantoni aveva inventato una "preziosa stamperia" , cioè una macchina da scrivere, che fu la prima o una delle prime al mondo, per quanto si sa, a stampare in modo simile a quanto fa una moderna macchina da scrivere.
Alcuni documenti prodotti da questa primitiva macchina da scrivere si possono vedere  ancora oggi presso l'Archivio di Stato di Reggio Emilia.
Cosa singolare è che il Conte Fantoni aveva inventato questa macchina per la sorella Carolina, diventata cieca.




Anche Giuseppe Ravizza, a cui viene comunemente attribuita l'invenzione della macchina da scrivere nel 1846, più di quarant'anni dopo, propagandava l'invenzione di questa macchina, brevettata come cembalo scrivano, per motivi umanitari, cioè per far scrivere i ciechi.

E allora a quale dei due il merito? a favore del Ravizza c'era un brevetto, mentre per il Fantoni c'erano solo lettere, perché la macchina che aveva inventato era stata distrutta come cosa inutile dagli eredi di Pellegrino Turri, l'amico ingegnere che l'aveva perfezionata....




Il vero problema però non era "inventare" una macchina da scrivere - gli italiani , si sa, sono poeti, santi , navigatori e , perché no?, inventori. La difficoltà era commercializzarla  con l'aiuto di investitori danarosi in cerca di profitti, una specie che a quanto pare, all'epoca, nel nostro paese scarseggiava.

Infatti, quando il Ravizza morì a Livorno nel 1885, povero e abbandonato, in Italia si stava diffondendo l'uso di una  macchina da scrivere prodotta dalla Remington , la prima ad avere un grande successo commerciale. Creata nel 1867 negli Stati Uniti dal giornalista, e poi senatore, Christopher Sholes con l'aiuto dello stampatore Samuel W.Soule  e del meccanico dilettante Carlos S. Glidden, la macchina si chiamava Qwerty, dalla sequenza delle prime sei lettere a sinistra, la stessa che troviamo ancora oggi sulla tastiera del nostro computer.




La Qwerty però non aveva le maiuscole e presentava qualche problema di battitura, problemi che furono risolti dalla ditta concorrente Underwood, che ne produsse modelli sempre più avanzati con conseguente diffusione capillare.






Nel corso del '900 , sia pure tra grandi difficoltà iniziali, anche un marchio di casa nostra si impose gradualmente sul mercato ed   è quello che tutti conosciamo : Olivetti.

Nel 1911 infatti ,dopo quasi tre anni di studi, la Olivetti era in grado di presentare all'Esposizione Universale di Torino , la prima macchina da scrivere italiana , la M1. Il mercato rispose tiepidamente, abituato com'era ai prodotti stranieri , ma Camillo Olivetti non si spaventò e affidò nel 1912 l'ideazione di un messaggio pubblicitario al pittore Teodoro Wolf Ferrari.






Sull'autorevolezza del  testimonial rappresentato nel manifesto non potevano esserci dubbi: bastava un suo gesto per garantire italianità e qualità del prodotto.

Su questa linea la Olivetti proseguì anche per i messaggi pubblicitari  apparsi negli anni successivi, improntati all'affidabilità, alla competenza, all'italianità.


 





Negli anni '20 la Olivetti si rende conto, come nel resto del mondo, che dove c'è una macchina da scrivere c'è una dattilografa , una segretaria, e così sottolinea attraverso i suoi messaggi pubblicitari l'importanza di questa nuova figura professionale, spesso preziosa per il successo di un'azienda.
Uno strumento  così comodo, veloce, efficace non solo la renderà felice, ma influirà positivamente sulla qualità del suo lavoro.













 
 
 
A partire dagli anni '30 l'uso sempre più diffuso della macchina da scrivere da parte dei professionisti della scrittura, che per lavoro si spostavano spesso, portò alla produzione di macchine  portatili, piccole e compatte, con apposita custodia.
 
Ormai non solo i giornalisti, ma  anche famosi scrittori avevano progressivamente lasciato  la penna per passare alla macchina da scrivere, a cominciare da Mark Twain, il primo a convertirsi alla Qwerty, con il suo Tom Sawyer pubblicato nel 1876.



 
 
Tutti ne hanno fatto uso : da Simenon a Pasolini, da Montanelli a Hemingway, da Agata Christie a Jack London, da Virginia Woolf a Kerouak, da Matilde Serao a Camilla Cederna.
 
Negli anni '50 era impossibile immaginare un luogo civile senza la presenza di una macchina da scrivere su un tavolo o una scrivania , con il suo inconfondibile ticchettio.
 
Con l'avanzare dell'era digitale però, i giorni della macchina da scrivere stavano progressivamente scomparendo. Quella che era stata una fedele compagna a casa, nello studio, nel lavoro e magari anche in giro per il mondo, insegnandoci a mettere nero su bianco , stava per essere rimpiazzata da nuovi dispositivi di scrittura e comunicazione,
 
Nel 2011 chiudeva i battenti , in India , la Godrej & Boyce, l'ultima fabbrica produttrice di macchine da scrivere.
 


 

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